Mestieri del Cinema – Chiara Malerba, esercente (pt. II)

Non solo una sala, ma una comunità: il cinema secondo Chiara Malerba

Chiara Malerba non è solo un’esercente cinematografica, ma un vero e proprio punto di riferimento culturale per la città di Ancona, che continua a credere nella magia collettiva del grande schermo.

Con passione e ostinazione, Malerba gestisce due sale simbolo della città dorica – il Cinema Azzurro e il Cineteatro Italia – trasformandole in luoghi di incontro e condivisione culturale.

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Il Cinema Teatro Italia ad Ancona

Il suo lavoro ha contribuito in modo significativo a mantenere viva la cultura cinematografica nel capoluogo marchigiano, creando spazi di aggregazione, riflessione e promozione del cinema d’autore e indipendente.

In questa intervista ci racconta la sua storia, le sfide quotidiane del settore, la resistenza contro le difficoltà del settore e la forza di una comunità che continua a credere nel grande schermo come esperienza collettiva e che ancora ama il cinema.

Come è nata la tua passione per il cinema e come è nata l’idea di creare questi spazi e di gestire una sala cinematografica?

La passione per il cinema è stata un’educazione sentimentale che mio padre mi ha trasmesso, avendola lui per primo come spettatore puro. Quando ero piccola a casa mia si vedeva tanto cinema e si frequentavano le sale quando si riusciva. Ricordo soprattutto le arene estive, quelli sono i ricordi più chiari che ho.

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La sala del Cinema Azzurro di Ancona

Il mio percorso formativo non è stato miratamente legato al cinema – sono laureata in lettere, ho fatto un percorso puramente umanistico – però ogni volta che potevo, la sala cinematografica era il mio “refugium peccatorum”. Ho avuto la fortuna, che riconosco ogni giorno, di poter fare della propria passione anche il mestiere con cui si campa. Come ogni adolescente ero in balia del “che cosa sarà di me, che cosa farò”.

Mi sono laureata e avevo in mano un pugno di mosche, perché una laurea in lettere, se non hai vocazione all’insegnamento, oggi puoi farci poco. Invece mi sono trovata a inanellare una serie di esperienze positive, a partire dal servizio civile per l’associazione ARCI che ad Ancona cura diverse rassegne. Lì ho capito che mi piaceva proprio fare questo lavoro: scegliere film, gestire sera per sera questo spazio, curare il rapporto con il pubblico.

Come si è evoluta la tua esperienza fino ad arrivare alla gestione delle sale?

Chi si occupava di programmare la Regina aveva attinenze con alcune sale di Ancona, come il Cinema Galleria e il Cinema Mr. Oz. Da lì ho iniziato a far diventare questa attività non solo legata ai due mesi estivi, ma ad avere possibilità di fare esperienze anche d’inverno. Nel 2018 entrambe le sale per cui lavoravo come dipendente – Galleria e Azzurro – hanno cambiato gestione e io con il mio collega siamo riusciti a rilevare la gestione del Cinema Azzurro.

L’arena estiva del Cinema Italia

Poi nel 2021, quando in tutta Italia le sale chiudevano, abbiamo deciso di rilevare la gestione del Cinema Teatro Italia, una sala con una capienza anacronistica di 630 posti, in uno dei quartieri considerati problematici di Ancona. Una sfida nella sfida che però, ad oggi, stiamo portando avanti con tanta passione e orgoglio.

In qualità di direttrice particolarmente attenta al cinema indipendente d’autore, come affronti la selezione dei film da proporre in sala? Hai notato cambiamenti nel tipo di pubblico che frequenta la sala?

Fino a quando abbiamo operato esclusivamente con il Cinema Azzurro, la linea editoriale era molto radicale. La sala era abituata a essere più “dura e pura”, quindi facevamo sempre una proposta molto in linea con una richiesta forte del pubblico che la frequentava.

C’era uno scambio positivo tra chi doveva scegliere i film e gli spettatori. Con l’Italia, che ha un’altra ambizione visti i numeri che esprime, è necessario confrontarsi con un altro tipo di proposta. È molto bello vedere che c’è grande attenzione sia per il cinema di qualità che per i film di repertorio, i restauri, le pietre miliari del cinema. Abbiamo una collaborazione quasi esclusiva con la Cineteca di Bologna e vediamo un bel ricambio generazionale.

Ci sono molti giovani attratti dalla versione in lingua originale. Noi siamo gli unici ad Ancona a farlo con una frequenza precisa e consolidata. Il pubblico si è formato e sta aumentando esponenzialmente. Molti scelgono miratamente il giorno in cui il film è proposto in versione originale, qualsiasi sia la lingua.

Qual è il tuo pensiero sulle nuove tecnologie e le piattaforme streaming?

Sono del parere che, se le piattaforme non ci hanno ucciso durante il Covid, non lo possono fare più. L’esercizio cinematografico viene messo costantemente alla prova subendo periodicamente forti contraccolpi, ma può continuare a sopravvivere adattandosi ai cambiamenti che impone ogni epoca, perché c’è un’affezione per il tipo di esperienza che non può essere scardinata.

Non vediamo i giovanissimi in sala, ma quando arriveranno ai trent’anni inizieranno a scoprire il piacere di rivedere i film in sala. È solo un fattore di tempo prima che anche quelle generazioni che diamo per perse riscoprano il cinema in sala.

Qual è la situazione o il momento che ricordi con più affetto da quando fai questo lavoro? E qual è stata invece la situazione più difficile, a parte il COVID?

I momenti più belli sono stati le riaperture o le aperture. Quando abbiamo inaugurato l’Azzurro con la nostra gestione e quando abbiamo riaperto il Cineteatro Italia tre mesi fa, dopo che era stato chiuso per un parere sfavorevole della commissione pubblico spettacolo.

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La sala interna del Cinema Italia

Il momento più brutto è stato quando ci hanno chiuso il cinema Italia, non per il Covid. È stata una cosa inaspettata e velocissima, uno strappo che ci siamo stati costretti a vivere anche rispetto alla comunità che ci frequenta.

La chiusura è arrivata nel mezzo di una settimana di cui avevamo già comunicato la programmazione, tra l’altro di un film molto atteso come “Povere creature” di Lanthimos. Per giorni abbiamo avuto 30-40-50 spettatori ai quali dovevamo spiegare che non potevamo proiettare il film, quando magari il giorno prima c’era stata una programmazione regolare.

La riapertura del Cinema Italia ha visto una mobilitazione straordinaria. Che valore ha avuto per voi quel supporto?

È stata commovente. Avevamo aperto un crowdfunding un po’ inconsapevoli dello strumento, con una cifra simbolica di 5.000 euro che già sarebbe stata un grande risultato. Ne abbiamo raccolti oltre 27.000. La risposta è stata straordinaria. Molti mi hanno detto: “Lo facciamo per voi e per il tipo di cinema che ci avete abituato a vivere.

Se questa sala fosse gestita da qualcun altro, probabilmente non avremmo donato”. Quando ti arrivano questo tipo di esternazioni è difficile rimanere fermi e cinici. È stata una spinta enorme per il nostro lavoro, perché eravamo anche un po’ scoraggiati e demoralizzati .

Le cifre che abbiamo speso sono state importantissime – circa 96.000 euro completamente a carico nostro – per un’economia di una piccola società come la nostra. Fortunatamente, abbiamo trovato fornitori e professionisti che si sono messi a disposizione, credendo nel progetto.

C’è un aspetto o un dettaglio del lavoro di gestione di una sala che il pubblico di solito non nota, ma che per te è fondamentale? E qual è la sfida più grande nel gestire una sala indipendente ad Ancona?

Il dettaglio principale è prestare attenzione a tutti i dettagli, senza mai dare nulla per scontato. Dalla posizione di una bottiglietta d’acqua al bar, alla scelta accurata del titolo da proporre in sala, ogni elemento fa la differenza. Ma soprattutto trovo che sia fondamentale l’ascolto del territorio.

La sfida più grande – e al tempo stesso il nostro obiettivo – è quella di fare comunità. Qui ci conosciamo tutti. Le persone mi chiamano direttamente per proporre un film, inoltre collaboriamo spesso con associazioni come Amnesty, Arci, Aniem, Ambasciata dei Diritti, che organizzano eventi e portano opere legate ai temi che trattano. Sono occasioni importanti che allargano il pubblico e poi fa sempre piacere vedere la sala pinea.

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La rassegna estiva del Lazzabaretto Cinema alla Mole Vanvitelliana (AN)

Conoscere davvero il contesto e il territorio in cui operi è l’ABC per riuscire a trasformare la sala in un vero e proprio presidio culturale. In una città come Ancona, se vuoi essere un riferimento, devi prima di tutto saper fare comunità. È un circolo virtuoso, ma richiede presenza costante e passione autentica.

Come vedi il futuro delle sale cinematografiche?

Il futuro lo vedo aureo, non vedo all’orizzonte l’apocalisse o la scomparsa delle sale. Probabilmente le sale più commerciali, meno legate all’esperienza di comunità subiranno un contraccolpo, perché non è più l’epoca in cui apri la porta e hai la fila di persone fuori.

Devi essere molto attento a capire dove va l’interesse del pubblico, intercettarlo e fornire il cinema che vogliono vedere. L’unica strategia vincente è quella di stabilire con il tuo pubblico una connessione che puoi avere solo se sei presente. Rimarranno le sale dove c’è una maggiore fidelizzazione del pubblico.

Se avessi l’opportunità di cambiare qualcosa nel modo in cui oggi funzionano le sale cinematografiche, dalla distribuzione alla programmazione, cosa cambieresti?

Senza dubbio renderei il prodotto libero. Credo che ogni sala dovrebbe avere la possibilità di decidere in autonomia cosa proiettare e in quali orari. Ovviamente comprendo le ragioni per cui questa libertà non venga ancora concessa. Se una sala sceglie di programmare un film, è perché ci crede e farà di tutto per valorizzarlo al meglio.

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I due cinema gestiti da Chiara Malerba

Se la domenica alle 21:00 ho solo due spettatori, mentre alle 16:00 ne ho 40, perché mi obblighi a tenere lo spettacolo serale? Anche la multiprogrammazione sarebbe un’opportunità preziosa: poter proporre più film durante lo stesso arco temporale aiuterebbe sia noi esercenti sia il pubblico.

La passione per il cinema

Chiara Malerba non incarna solo la passione di un’esercente cinematografica, ma anche l’impegno costante di un’operatrice culturale che ha fatto del cinema uno strumento di aggregazione sociale e crescita culturale collettiva, diventando un punto di riferimento per la cultura cinematografica per Ancona.

Con il suo lavoro al Cinema Azzurro e al Cinema Teatro Italia, è riuscita a mantenere vivi – anche in tempi difficili per l’intero settore – spazi dedicati al cinema d’autore, dando vita ad una comunità attenta, partecipe e profondamente legata a questi luoghi.

La sua esperienza dimostra che la gestione di una sala cinematografico può andare ben oltre l’aspetto commerciale, diventando un vero e proprio presidio culturale capace di dialogare con il territorio e di intrecciare relazioni dando voci a realtà diverse.

La mobilitazione cittadina per la riapertura del Cinema Italia è la prova concreta del lavoro svolto e della gratitudine e riconoscenza di una comunità e di una città che ha saputo riconoscere, in Chiara, l’impegno profuso e un punto di riferimento per la cultura cinematografica.

A cura di Leonardo Nicolì.

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