Mestieri del Cinema – Davide Ferazza racconta Withstand Production
Dal 2012, Withstand alterna progetti commerciali e opere d'autore, spaziando dal documentario al cinema d'animazione, dalla pubblicità ai cortometraggi.
Davide Ferazza è produttore e fondatore di Withstand, casa di produzione indipendente con sede nelle Marche e a Milano che si distingue per un approccio trasversale alla produzione audiovisiva.
Dal 2012, Withstand ha costruito la propria identità alternando progetti commerciali e opere d’autore, spaziando dal documentario al cinema d’animazione, dalla pubblicità ai cortometraggi.
Da dove nasce il tuo interesse per il cinema e più nello specifico per il mondo della produzione?
L’interesse per il cinema nasce dal mio percorso di studi. Ho studiato filosofia ed estetica e il cinema mi è sempre sembrata una delle forme in cui si concentra la riflessione sull’arte, dove convergono fondamentalmente diverse tipologie di pratica “estetica”: letteratura, musica, pittura…Ho poi sviluppato questo interesse attraverso il lavoro.
Una serata-concerto dedicata all’uscita di “Numero Zero – Alle origini del rap italiano”, prodotto da Withstand
Ho iniziato al Piccolo Teatro di Milano dove curavo la parte video degli spettacoli. Questo mi hanno permesso di unire pratiche diverse tra loro: storytelling, documentario, interviste agli attori, performance. Ho visto spettacoli incredibili, penso per esempio a Pina Bausch. Da lì si è sdoganata completamente la passione per il video, passando da spettatore a parte attiva.
Nel 2012 ho poi fondato Withstand cercando di organizzare un’attività trasversale: un progetto editoriale che mescolasse documentario, animazione e pubblicità. Per noi la pubblicità rimane il core business perché sostiene economicamente la struttura, ma l’obiettivo è quello di coltivare uno sguardo trasversale e internazionale, in grado di sperimentare con linguaggi diversi tra loro: dallo storytelling alla commedia passando per la fotografia, l’animazione.
Qual è stata l’idea che vi ha spinto ad aprire una casa di produzione indipendente sia nelle Marche che a Milano e come si è sviluppato il rapporto con la nostra Regione?
L’idea era quella di creare un’attività in grado di produrre e sostenere sia uno sguardo commerciale che uno sguardo autoriale, una sorta di “lucida schizofrenia”. È necessario avere un percorso che tenga insieme i due mondi perché, almeno nella mia esperienza, è difficile altrimenti sostenere progetti cinematografici con una certa frequenza. Ho lavorato all’inizio con Virgilio Villoresi e sicuramente devo a lui la fascinazione per l’animazione in generale e la stop-motion in particolare.
“Vento” di Virginia Mori e Virgilio VilloresiUna tavola di “Luna Park” di Virginia Mori
Grazie a lui è iniziato anche il rapporto con Virginia Mori, grazie alla quale sono entrato in contatto con l’ambiente artistico della Scuola del Libro di Urbino. Mi si è spalancato il mondo dell’animazione d’autore marchigiana e mi sono follemente innamorato del tipo di linguaggio e delle varietà delle cose che si possono realizzare. Roberto Catani è stato il culmine di questa relazione. La Scuola di Urbino è fondamentalmente il centro nevralgico di un’idea di fare cinema d’animazione tradizionale, a mano.
Ho scoperto come il cinema d’animazione d’autore marchigiano rappresenti una vera e propria eccellenza nazionale. Ho iniziato a produrre soprattutto grazie alla fusione di due mondi: la Regione Marche da una parte e la Francia dall’altra. Creando una triangolazione che possiamo definire “virtuosa” per sostenere il cinema d’animazione. Nel mio percorso ho distribuito un lavoro Simone Massi, coprodotto un corto di Mara Cerri, Magda Guidi e due cortometraggi Roberto Catani.
Come è nata la collaborazione con la Francia?
L’incontro con la casa di produzione francese arriva nel 2016, ad Annecy. Si sono innamorati anche loro del cinema d’autore dell’animazione marchigiana; quindi, è una collaborazione che porto avanti da tempo.
“Il burattino e la balena“, “Per tutta la vita” e “Sogni al campo” sono tutti stati realizzati grazie a questa collaborazione con la Francia, che ovviamente è terra di elezione per la cultura dell’animazione, dei fumetti, dell’illustrazione. In Francia l’illustrazione è considerata un’arte al pari delle altre: una delle mostre più belle che ho visto al Pompidou era sul mondo del fumetto.
Hai citato Roberto Catani e altri progetti molto importanti. Puoi raccontare qualche esperienza legata a questi lavori?
Roberto Catani rappresenta in un certo senso la summa di questo percorso: è stato maestro di tutte le persone con cui ho lavorato. Sono proprio orgoglioso di questo percorso. “Il burattino e la balena” per me è stupendo, il livello drammaturgico ed estetico è altissimo. Non perdo occasione di farlo vedere a chiunque.
Il trailer ufficiale di “Il burattino e la balena”
Tra l’altro adesso pubblicheremo un libro con una casa editrice marchigiana per continuare questo asse sul territorio, con l’obiettivo comune di restituire lo spessore del lavoro di Roberto. Parliamo di circa 1800 frame fatti a mano uno alla volta. La possibilità di essermi confrontato con un classico senza tempo è un’occasione di cui sono davvero grato.
Come definiresti la figura del produttore in Italia oggi? Quali sono le difficoltà e le qualità richieste?
Il produttore è fondamentalmente un “connettore”. Quello che bisogna saper fare, secondo me, è avere una certa consapevolezza sugli obiettivi senza perdere la visione durante il percorso nonostante gli ostacoli che ci si trova a dover affrontare. In questo senso credo che “la tenuta” sia la qualità principale sulla quale investire. In questo momento in Italia è una figura delicata perché fare un film oggi è difficile. Bisogna mettere insieme un’orchestra di finanziatori, sponsor, fondi pubblici che regga a lungo termine. È un’operazione articolata e complessa.
Io non sono un vero e proprio produttore “classico”. Non vengo dal cinema in senso stretto, parto dalla pubblicità e la mia formula imprenditoriale è quella di riuscire a tenere il piede in due scarpe. Non saprei farlo diversamente. L’animazione ti insegna a mantenere alta la concentrazione per un arco di tempo lungo. Per fare un cortometraggio di 8 minuti ci possono volere due anni. La resistenza/resilienza è sicuramente uno degli ingredienti fondamentali per riuscire in Italia a fare questo lavoro.
Come riuscite a mantenere equilibrio e sostenibilità come casa di produzione indipendente?
È più prudenziale, ed è nella nostra mentalità non essere legati alla necessità di dover fare un determinato numero di film all’anno con tutto il circuito burocratico che questo comporta. In questo modo riusciamo a essere più “leggeri” e a selezionare meglio i progetti su cui investire. Facciamo dei tipi di progetti più contenuti che sono principalmente documentari e cortometraggi. Il lungometraggio di fiction non è (ancora? 🙂 il “nostro campionato”.
Davide Ferazza e Virgilio Villoresi (foto di Davide Ferazza)
Mi interessa creare dei contenuti che impattino sul territorio in modo trasversale: un documentario con delle presentazioni ad hoc, un cortometraggio che può legarsi a una mostra o a un libro sono sicuramente le cose per me hanno più valore, perché rispondono alla possibilità di creare sinergie trasversali. È una strategia che sul lungo periodo può essere vincente anche per diversificare il l’attività. Se uno ci concentra sul progetto singolo rischia di investire oltre il proprio potenziale e brucia quello che ha coltivato fino a quel momento.
Quali direzioni dovrebbe prendere oggi il cinema italiano per tornare a essere sostenibile e riconoscibile?
Secondo me servono film che riescano ad avere uno spirito underground sia per questioni di budget che per estetica. Uno degli ultimi film che ho visto è “Ciao bambino” di Edgardo Pistone, un film napoletano che ha quella capacità di avere una storia semplice, non un grosso budget, di essere scritto e girato bene.
Spirito underground non vuol dire povertà di messi ma capacità di valorizzare al massimo quello che si ha. Questa credo sia una formula vincente per l’Italia. Bisognerebbe tornare a fare un po’ di cinema d’autore per sfruttare al massimo la sceneggiatura e le risorse, oggi veramente limitate. Anche il documentario d’autore andrebbe incrementato, genere che in Italia ultimamente si vede poco.
Roberto Catani (foto di Davide Ferazza)
In generale comunque credo sia importante partire da un’idea forte, oppure sperimentare quella via di mezzo tra cinema e documentario, dove si possono ibridare i linguaggi e trovare delle soluzioni innovative.
Quali sono le sfide maggiori per la produzione cinematografica in Italia e, nello specifico, per chi lavora sul territorio marchigiano?
Riuscire a creare un impianto produttivo e degli asset finanziari sostenibili in un ciclo vitale a lungo termine. Fondamentalmente riuscire ad avere un piano sostenibile rispetto alle condizioni di partenza che non sono ottimali. Unire sponsor privati e fondi pubblici e creare un’orchestra, una somma di sinfonie finanziarie che funzioni.
Il trailer ufficiale di “Sogni al campo” di Mara Cerri e Magda Guidi
Avere una Film Commission che crede nel tuo progetto o che riconosce il valore di quello che stai facendo è il capitolo fondamentale di ogni avventura produttiva. Io in generale ho coordinato diverse realtà ma non è sempre scontato che la struttura regga. La Regione Marche, la Francia e degli investimenti privati sono un triangolo virtuoso che ha funzionato nel tempo.
La perseveranza e la possibilità di continuare a fare questo tipo di progetti non è scontata. Per questo, per la complicità nei diversi obiettivi, ringrazio sempre anche il mio socio Lorenzo Damiani e la bellissima squadra che abbiamo costruito nel tempo: Martina, Valentina, Alessandro, Chiara, Sonia, Sabrina e Paola.
Come mantenete una coerenza identitaria tra progetti così diversi?
Credo che il minimo comun denominatore sia il valore culturale del progetto a cui si punta di volta in volta. Sono stato orgogliosissimo di “Numero 0 – Alle origini del rap italiano” perché è un capitolo su una storia musicale italiana che, secondo me, mancava ed è stato bellissimo poterlo raccontare.
La locandina ufficiale di “Numero Zero – Alle origini del rap italiano”
L’animazione d’autore è un’altra eccellenza italiana che, secondo me, merita di essere sostenuta e sono orgoglioso appunto di aver portato alla luce l’opera di Roberto Catani su un classico dall’inestimabile valore culturale.
State valutando di muovervi in altre regioni oltre alle Marche?
Sì, ho intenzione di creare sinergie perché la sinergia fa la forza di un progetto. Riuscire a far confluire più Film Commission su un unico progetto è sicuramente vincente, al netto della natura del progetto.
Ci sono delle Film Commission assolutamente virtuose: la Campania Film Commission, grazie alla quale abbiamo avuto sostegno per un lavoro con Teatro San Carlo di Napoli, è eccellente. Così come la Puglia o il Trentino e il Piemonte. Avere sostegno da diverse regioni è fondamentale per creare un’”orchestra” più articolata.
Quali sono le sfide maggiori per la produzione cinematografica in Italia e, nello specifico, per chi lavora sul territorio marchigiano?
Credo che negli ultimi anni la film commussion marchigiana abbia fatto passi da gigante non solo nel cinema d’animazione ma come presenza sul territorio rispetto le realtà produttive. C’è stato un gran lavoro di selezione e sostegno al cinema.
La forza si è fatta notare anche nella presenza intensiva nei principali festival di cinema internazionali e nella sensibilità con cui ha selezionato i progetti. Questi fattori uniti alla vera e propria “potenza di fuoco economica” messa in campo, hanno garantito solidità al cinema locale e non. Questo ha contribuito a rendere il cinema marchigiano un riferimento internazionale vista poi la distribuzione dei progetti qui realizzati.
Il trailer ufficiale di “Game of the Year” di Alessandro Redaelli
Anche uscendo dal cinema d’animazione, il territorio si presta a un sacco di progetti diversi sia come location che come patrimonio storico artistico. È molto ricco e può sostenere immaginari visivi diversi. Questa regione d’Italia in generale ultimamente ha avuto una riscoperta importante sia a livello turistico che cinematografico.
Che consigli daresti a un giovane produttore o filmmaker in Italia?
Investire sul confronto. Non smettere mai di essere curiosi rispetto alle istituzioni o alle risorse sul territorio, ma anche rispetto alle finestre sul mondo “fuori”. Per me è stato fondamentale conoscere altre realtà fuori dall’Italia. I festival ti portano a conoscere autori, lavoratori del settore, realtà produttive con una mentalità diversa dalla nostra. Questo aiuta a percepire le potenzialità che possono nascere su un singolo progetto o su una collaborazione a lungo termine. In questo senso i confini non vanno considerati come dei recinti ma come membrane che vanno attraversate.
Il consiglio è proprio quello di guardare fuori per riuscire a tenere in piedi progetti che spesso fanno fativa se devono essere sostenuti solo in Italia. Ai giovani filmmaker consiglierei invece di continuare a sviluppare il proprio immaginario cercando di seguire il meno possibile dei riferimenti pre-precostituiti. In questo modo è più facile trovare la propria voce. Soprattutto nel mondo della pubblicità in Italia spesso manca l’originalità.
Alla 81^ Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia per l’anteprima di “Il burattino e la balena” di Roberto Catani (foto di Davide Ferazza)
Lavorare sulla ricerca del proprio immaginario può fare sicuramente la differenza. Infine, bilanciare ambizione artistica e sostenibilità economica: saper costruire progetti investendo a partire da condizioni economiche di partenza che spesso non sono ottimali è un ottimo punto di partenza.
Come gestite la sostenibilità economica e creativa dei progetti?
Lavorando su progetti di natura diversa e sapendo che non tutti devono necessariamente avere un riconoscimento creativo in senso stretto. La chiave è la selezione: non essendo vincolato a un numero fisso di uscite autoriali all’anno, la selezione avviene in maniera più critica. Questo approccio ci consente di puntare su lavori che abbiano reale potenziale di riconoscimento, sia a livello nazionale che internazionale.
Puntare su un numero minore di progetti autoriali ma scelti con cura è stata la strategia che, nel tempo, ci ha permesso di ottenere risultati solidi e una certa coerenza artistica.
C’è un progetto al quale sei particolarmente legato e che pensi incarni l’identità della vostra casa di produzione?
Sicuramente “Numero 0 – Alle origini del rap italiano“. È un progetto identitario perché racconta una parte di storia della musica italiana che nessuno aveva mai approfondito davvero. Sono particolarmente orgoglioso del risultato grazie al lavoro di sinergia con il regista, le istituzioni e il lavoro d’archivio. È stata un’esperienza davvero gratificante.
Il trailer ufficiale di “Numero 0 – Alle origini del rap italiano”
L’altro progetto a cui tengo particolarmente è Il burattino e la balena di Roberto Catani, un film ispirato a Pinocchio, un classico universale, reinterpretato con una sensibilità poetica straordinaria. Un progetto con riscontri e tematiche diverse, che considero davvero un gioiello che unisce il rigore del lavoro alla profondità umana. Direi che questi due progetti – il primo e l’ultimo – sono quelli che rappresentano bene il percorso e l’identità di Withstand.
Che progetti avete in cantiere e quale direzione vedi per la produzione in Italia nel prossimo futuro?
Abbiamo in sviluppo un documentario musicale con la regia di Mattia Ramberti. In collaborazione con la Regione Marche, stiamo lavorando al prossimo cortometraggio di Virginia Mori e, spero presto, a un nuovo progetto di Ruben Gagliardini che fa parte della nuova generazione di artisti animatori marchigiani.
In parallelo, stiamo preparando un libro con i frame delle animazioni de Il burattino e la balena di Roberto Catani, per valorizzare la dimensione artigianale e la bellezza di quel lavoro. Per il futuro vedo sfide sempre più impegnative considerando la situazione attuale e la necessità di inventare nuove formule per sostenere il cinema in Italia.
Il settore ha bisogno di trovare strutture finanziarie e distributive alternative in grado di dare spazio a progetti autoriali. Se riusciremo a creare reti efficaci tra istituzioni, festival, partner finanziare nazionali e internazionali, credo che il nostro cinema potrà continuare a crescere e a trovare il suo spazio nel mondo.
A cura di Leonardo Nicolì
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